Il progetto è un’installazione unica, che riprende le fila della prima mostra che D’Elia ha realizzato per la galleria nel 2010 Ieri distrattamente mi volsi a considerar altrui memorie (dalle quali mi ritrovai rinvigorito).

In questa occasione l’artista aveva elaborato un sistema in grado di far nascere muffe direttamente su degli spazi prestabiliti della galleria. Utilizzando agenti chimici e controllando la temperatura della galleria si era limitato ad aspettare che si sviluppassero delle vere e proprie proliferazioni fungine. La galleria, dunque, si presentava marchiata da queste muffe, essa stessa l’opera in mostra. In questa prima installazione lo scopo di D’Elia era di mostrare ciò che è “invisibile”, vale a dire la presenza ovunque della vita e lo scorrere del tempo.

Questa volta l’artista lavora all’inverso: adopera l’antivegetativo, un tipo di vernice usata soprattutto in campo nautico per arrestare la crescita di alghe, coralli e di muffe sulle carene delle imbarcazioni. Protagonista dell’opera è sempre la galleria stessa, trasformata in uno spazio abitato e per metà idealmente immerso nell’antivegetativo. Quadri, sculture, elementi d’arredo, tutto appare avvinto dalla vernice antivegetativa, dal tipico colore verde asettico, quasi a voler bloccare qualsiasi proliferazione di vita.

Con ANTIVEGETATIVA Davide D’Elia presenta un progetto che nasce dall’opposizione tra organico e sintetico, tra vitale e asettico, caldo e freddo, formale e informale.

 

La mostra si completa con un testo critico di Giulia Ferracci.

Davide D’Elia,  Antivegetativa, 2013, 19 tele, misure variabili, boa, sedia, vernice antivegetativa idrofila tradizionale

Dapprima vicino alla pittura informale, successivamente all’arte della grafica, Davide D’Elia a partire dalla seconda metà degli anni duemila caratterizza la sua produzione nell’interazione tra agenti fisici e manufatto artistico, risultato che l’artista esplora attraverso un dialogo intimo e sempre rigenerato tra il tempo e la materia.

Antivegetativa si compone di vernice, una sedia, una boa e diciannove quadri provenienti da vecchie cantine, mercatini di oggetti usati, negozi d’antiquariato e rigattieri ancora presenti in alcuni quartieri di Roma. Le tele raffigurano scene marine, paesaggi rupestri, ritratti fotografici ritoccati a mano, immagini di “ragazzotti” provenienti da un’epoca ormai dimenticata dalla storia. La sedia è invece il luogo ideale dove il tempo si ferma mentre la boa è l’emblema dello spazio-limite da non oltrepassare. Le pitture in stile accademico, la sedia e la boa sono stati tutti per metà immersi nella massiccia pittura di colore “blu tiffany” – così definita perché nata nello stesso anno di fondazione del famoso marchio – di cui l’artista ha permeato lo spazio di Ex Elettrofonica. La pittura antivegetativa, quella a grosso spessore, viene abitualmente applicata come fondo per scafi di vecchie navi ed è speciale perché isola gli organismi vegetali e quelli animali fino ad eliminare ogni forma di vita possibile. Il risultato è uno spazio acido e irreale, immerso negli abissi di una materia che tutto cancella, spazio, tempo e vita comprese.

Dal processo di immersione degli oggetti nel colore deriva una riflessione su un lembo di storia comune, quella delle cose, e ne scaturisce un’altra, molto più profonda, su ciò che resta oltre la fine della materia. Attraverso il processo di annullamento dei processi naturali, Antivegetativa è un esperimento per fermare la fisicità della natura oltre lo scorrere del tempo.

GIULIA FERRACCI